Si parla sempre più spesso di analfabetismo funzionale. Questione che è diventata fortemente d’attualità con la comparsa dei social network, la cui velocità di innovazione linguistica, sotto gli occhi di tutti, impone un continuo rinnovamento delle grammatiche dei lettori. Che altrimenti rischiano di ritrovarsi nella malfamata fascia sociale degli “analfabeti funzionali”.
Cos’è un analfabeta funzionale
Chi è l’analfabeta funzionale? Cosa lo distingue da un analfabeta tout court?
È presto detto. Un analfabeta non sa leggere e non sa scrivere. Dunque si muove in un mondo di caratteri linguistici che gli risulta muto (provate a leggere una pagina scritta in cirillico o giapponese senza conoscere quel sistema alfabetico per capire lo smarrimento).
L’analfabeta funzionale invece sa leggere e scrivere ma, come disse il noto linguista Tullio De Mauro in un’intervista del 2016 “non capisce quello che legge”. Cioè, per intenderci: legge ma non capisce, sente ma non ascolta, vede ma non può interagire appieno con il mondo esterno perché è sordo agli stimoli.
Un bel paradosso, se ci si pensa, che si può sviluppare per punti:
- La rete ha dato accesso a tutti alla maggior parte delle fonti di informazione esistenti nel mondo.
- Il 99,6% della popolazione italiana è alfabetizzata (Istat 2020) e quindi avrebbe la possibilità di informarsi in modo autonomo. Quantomeno nelle pagine e nelle fonti in italiano.
- Solo il 20% degli abitanti lo Stivale però possiede “gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”. (Tullio De Mauro, “Internazionale”, n. 734, 6 marzo 2008).
- Ne deriva che solo ⅕ di chi naviga la rete ha gli strumenti per coglierne la complessità espressiva e la profondità di messaggio.
Dunque abbiamo un enorme bacino di informazioni, composto da una miriade di linguaggi (scrittura, video, musica, immagini, etc), a cui tutti hanno accesso ma che in pochi sanno maneggiare compiutamente.
Alcuni nemici giurati dell’analfabeta funzionale
Tutto ciò è reso ancora più complesso da due sistemi linguistici strettamente legati a internet (e in particolare ai social) che sono emersi negli ultimi anni e che, in qualche maniera, dovrebbero supportare, semplificandolo, il registro linguistico utilizzato nella scrittura: gli emoji e i meme.
Gli Emoji
Con gli emoji si giunge a una sintesi estrema della comunicazione, che permette però di allargare il concetto espresso con la scrittura aggiungendo un’immagine che richiami a un sentimento o un atteggiamento. Se, ad esempio, scrivo un post sarcastico ma lo faccio con bonomia, posso aggiungere una faccetta che sorride e chi legge può cogliere il mio intento.
Se, invece, voglio esprimere rabbia o perplessità, posso utilizzare gli emoji adeguati e mi tolgo dall’impiccio di scrivere un commento lungo e articolato. Dunque l’emoji, in sé, è uno strumento che avvicina il contenuto al lettore. Ma anche in questo caso, lo vedremo, il lettore deve essere avveduto.
I Meme
Anche per i meme (sorta di vignette, spesso satiriche o surreali) la questione è assimilabile: utilizzo un’immagine, immediata e di facile lettura, per commentare il quotidiano, per sollecitare una risata su un fatto noto, per osservare in modo “laterale e buffo” un argomento. Poi ci sono quelli costruiti per provocare reazioni, per vedere “l’effetto che fa”. Memorabile il meme (a firma di Luca Bottura) pubblicato qualche anno fa, con Samuel L. Jackson e Magic Johnson trasformati in “risorse boldriniane”. Immagine sotto la quale si ricordano commenti incredibili.
L’analfabeta funzionale è come il coniglio fermo davanti alle luci dell’auto che arriva
Il problema, per l’analfabeta funzionale, è dunque quello di trovarsi nella spiacevole condizione di riuscire a leggere ciò che lo circonda (lettere, cartelli, immagini, luoghi…) ma di non sapere come comportarsi. Hai presente il proverbiale coniglio che, in mezzo alla strada, viene raggiunto da un’auto in corsa e rimane bloccato perché non riesce a capire che cosa siano quelle luci che si avvicinano?
Una situazione molto simile la può vivere un occidentale urbanizzato che si ritrova catapultato senza strumenti in una jungla. O chi, per eccesso, pretende di entrare in chiesa per mangiare una pizza o di raccontare una barzelletta durante un funerale. Non si fa.
Ma se nella vita reale riuscire a capire cosa stia succedendo è forse reso più semplice dal fatto che tutti e cinque i sensi sono allertati (vedo un cartello con un uomo che cammina e su di lui c’è una barra rossa; il cartello è posto vicino a una strada molto trafficata; sento e vedo automobili che passano continuamente: non attraverso), il fatto di essere sul web, sui social, include quel minimo di attenzione in più per evitare di cascare nelle trappole dei segni disseminati sul sentiero.
L’Analfabetismo funzionale in azione
In particolare, nella nostra esperienza di autori per i social, siamo incappati in due comportamenti esemplari di questa diffusa problematica sociale. Il primo è quello legato alla mancata comprensione del luogo e delle sue regole, il secondo è quello che si palesa nell’assoluta incapacità di riuscire a dare un senso a ciò che si è appena letto.
Del luogo e delle regole
Il primo sintomo si mostra con richieste fuori luogo o proteste su presunti atti di censura. Ciò nasconde un’evidente incapacità di lettura dei contenuti o di comprensione delle “regole” della comunità. Cioè: ci si comporta come se si andasse in chiesa pretendendo di organizzare una grigliata sull’altare. Oppure ci si presentasse alla cassa di un cinema con un cestino da picnic e uno stereo portatile per ascoltare la musica. Non si fa, non è il luogo adatto.
Questo comportamento lo abbiamo incontrato curando l’amministrazione di un gruppo Facebook che possiede una policy molto chiara e ferrea, sia per quanto riguarda gli accessi sia per ciò che concerne il tipo di post pubblicabili. È un gruppo che si è caratterizzato per essere un viaggio nella memoria, anche goliardico, di una città. Una versione molto ortodossa dei vari “Sei di…”, che abbiamo sempre mantenuto libera da questioni politiche, da polemiche o da post che potevano provocare situazioni di imbarazzo, anche legale, per chi li scriveva e per chi li ospitava.
Per fare ciò, oltre a redigere una politica d’uso molto precisa (no post commerciali, no politica, sì ricordi, sì divertimento, sì foto belle, etc) indicammo la necessità di precisare il luogo di nascita o di residenza per potersi iscrivere. Questo per non accogliere all’interno di una “comunità” cittadina persone estranee ad essa e dunque presenti nel gruppo per scopi diversi da quelli per cui era nato. Cioè, per capirci in modo chiaro: non facciamo entrare un santo all’inferno, o un diavolo in paradiso.
Eppure, talvolta, ecco quello che prova a infilare un post polemico sull’amministrazione comunale e che, una volta vistosi moderato, va altrove a lamentarsi di questa mancata uscita perché “il gruppo è amico del sindaco”. Ecco il post sull’apertura del bar o sul tal concerto “sponsorizzato”. Oppure la foto della strada piena di buche. E si ha voglia di spiegare che “nel gruppo è evidente che si è scritto di non pubblicare post politici/polemici, e che quello non è il luogo”.
La protesta nasce spontanea e la rabbia acceca la ragione. Soprattutto dell’analfabeta funzionale, cioè di chi pensa che: “non ho capito ma sicuramente ho ragione io”. Perché siamo certi, vogliamo crederlo, che tutti abbiano letto le regole per partecipare al gioco. Non siamo altrettanto certi che tutti le abbiano capite.
La sindrome del “Cos’ho appena letto?”
Il secondo sintomo che abbiamo incontrato riguarda il tono dei post o di quanto viene scritto in rete. Se io parlo con qualcuno e, nel farlo, sorrido o la mia voce è divertita, allora diventa chiaro che sto raccontando un fatto buffo e che mi aspetto una reazione congrua. Se scrivo è più probabile che possa essere frainteso. Ma questo non è possibile, o quantomeno non dovrebbe esserlo, se sto scrivendo una cosa palesemente assurda. O se utilizzo un emoj (o un meme) per sottolineare l’intento goliardico del post.
(Alessandro Boriani)
Post post: il pesce d’aprile che fa arrabbiare
Da tempo come Rizomedia pubblichiamo contenuti sulla pagina Facebook della testata Birramedia, in cui raccontiamo avvenimenti di Castel San Pietro Terme, la cittadina termale di 22 mila abitanti in provincia di Bologna nella quale abbiamo la sede. L’1 aprile del 2021, con l’occasione del Gran Premio di Formula 1 che si è corso nella vicina Imola, abbiamo scherzato con un post, palesemente satirico e “pesce d’aprile”, in cui raccontavamo che a breve si sarebbe organizzato un Gran premio anche nella nostra città. Le reazioni sono state, a tratti, anche più divertenti e surreali del post stesso.
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Si parlava, fra le altre cose, della costruzione di un muro per non disturbare gli ospiti del cimitero al passaggio dei bolidi. In alcuni casi, come si evidenza nello screenshot, qualcuno ha colto lo spirito dello scherzo. Altri se la sono presa pensando fosse una cosa vera. In questo caso però uno dei nostri “pesci” ha colto l’ironia della situazione e ha ammesso, con candore di “avere abboccato come una carpa”. Cosa gli vuoi dire: è vero. E per evitarlo è sufficiente leggere, rileggere, respirare bene, contare fino a dieci e vedere se sia proprio necessario commentare o se, per caso, non si stia cadendo nella rete della Rete.
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Ma la cosa è andata avanti quando abbiamo inaugurato i “Venerdì di Birra Media”. Post in cui abbiamo scherzato con la nostra città introducendo temi talmente assurdi da apparire, fin dalla prima occhiata, solo una boutade di cui ridere. Una sorta di rubrica di risate all’interno di un altrimenti luogo “serio sebbene con leggerezza”.
Ma seppur evidente l’assurdità di certi post, come quello che utilizziamo per chiudere questo nostro intervento, c’è comunque qualcuno che ci casca. Diventando, quasi di fatto, il motivo per cui abbiamo continuato per oltre un anno a pubblicare cose sempre più incredibili.
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