In questo articolo mi soffermerò sulla comunicazione e come essa risulti fortemente condizionata dal contesto in cui nasce, tanto da risultare impossibile sospendere un giudizio che, oltretutto, al mutare del contesto muta il valore degli attori e del messaggio in modo quasi irreversibile.
Allontanarsi, con lo sguardo, da un fenomeno, un fatto, che sta accadendo “sotto i nostri occhi”, dovrebbe aiutare a darne una lettura fuori dalle circostanze e quindi più precisa e puntuale. E soprattutto permette di sospendere il giudizio, che è ciò che oggi sovrasta il fatto in sé nascondendone la vera natura.
Se prendiamo, ad esempio, un lieve tamponamento fra automobili in cui nessuno si fa male, il tamponato avrà di che questionare sul fatto che lui si era fermato per far passare la mamma con il bimbo in carrozzina sulle strisce pedonali; il tamponatore potrà aggiungere, però, che i fari degli stop del tamponato non hanno funzionato. E lui comunque la mamma con il bambino non li ha visti.
Dunque? Per dirimere la questione è sempre utile avere un testimone terzo che, appunto fuori dall’incidente, possa spiegare come sono andati i fatti (sempre dal suo punto di vista) e dare una versione più veritiera possibile del fatto. Senza quindi giudicare ciò che è successo: la macchina A si è fermata in prossimità delle strisce pedonali; una signora attendeva sul lato della strada; l’auto B è arrivata, ha provato a frenare ma non ha fatto in tempo.
Per ottenere questo occorre che il fatto giunga decontestualizzato: non ci sono questioni sullo stato dei freni dell’auto B, sulla visibilità della strada, sul fatto che la signora fosse ferma e non pareva avesse intenzione di passare, su ciò che stavano facendo i guidatori mentre erano in auto. E il testimone non deve essere parente delle persone coinvolte
Vero è che la contemporaneità, con le diverse voci con cui ci parla, rende questa astrazione complessa e porta con sé il contesto (spesso giudicante) quasi fosse una parte indispensabile del fatto.
Nella comunicazione, in estrema sintesi e per non complicarci troppo la vita, ci sono un emittente, un messaggio, un mezzo e un destinatario. Tutto questo, preso assieme, crea un contesto comunicativo. Ognuno di questi “enti” ha un suo valore, per chi osserva la cosa da lontano: ognuno di loro può avere segno positivo o negativo e ciò dipende dal contesto in cui il messaggio viene emanato e ricevuto. In alcuni casi tale segno è inequivocabile.
Batman e Joker
Se Batman dice al Joker, vedendolo in procinto di compiere una rapina: “Ora ti tiro uno sberlone che il muro te ne dà un altro” sappiamo che Batman è positivo, Joker è negativo e il messaggio è, in qualche modo, positivo. Lo sberlone punisce le malefatte. Bene così.
Se Batman dice al Joker, mentre questo sta per essere divorato da un coccodrillo, lo stesso messaggio, la questione cambia. Sebbene il lettore non possa fraternizzare con lo psicopatico ridanciano antagonista del pipistrello ecco che l’atto comunicativo vede cambiare di posto i valori: “Ma come”, ci si chiede, “Batman non permetterebbe mai che un suo nemico muoia senza che lui tenti di salvarlo… men che meno lo prenderebbe a schiaffi mentre un coccodrillo sta per divorarlo”.
Cos’è cambiato?
Il contesto in cui avviene lo scambio, altrimenti identico nelle sue fasi di minima.
E qui occorre fare due considerazioni
La prima riguarda il fatto che Batman e Joker mantengono comunque il loro valore: il contesto interno alla narrazione non imputa una variazione nella valutazione che il lettore dà dei personaggi: Batman rimane positivo, è il nostro eroe; Joker rimane negativo, è la nemesi. Non basta che una determinata situazione li veda cambiare di posto, sull’asse semiotico, per provocare un riassetto generalizzato della questione. La variazione è temporanea, riguarda quella determinata avventura del Giustiziere mascherato, che magari si scoprirà in seguito, era stato sostituito da un dopplegänger cattivo. Questo accade, con frequenza, quando il contesto (extra)testuale è ben determinato, cioè quando il lettore ha chiara la situazione e il patto comunicativo è cristallizzato.
Un abisso di contesti
La seconda considerazione è legata a questo necessario chiarimento.
Un fatto di comunicazione avviene spesso in una modalità che vede più contesti sovrapporsi l’uno all’altro.
- C’è il contesto a cui appartiene lo scambio emittente – messaggio – destinatario;
- C’è il contesto a cui appartiene lo scambio di cui sopra assieme a colui che lo scambio sta guardando/leggendo: l’incidente del primo esempio avviene in una strada in cui c’è un testimone terzo; la lite fra Batman e Joker è disegnata in un fumetto in mano a un lettore;
- Può esserci, infine, un abisso di contesti, ognuno dei quali lavora sul valore degli enti in azione: un dibattito elettorale avviene in uno studio televisivo (livello 1) osservato su un canale Youtube da un elettore (livello 2) e commentato da diversi utenti (livello 3) poi condiviso su altri social (livello 4) e commentato da altri utenti (livello 5) inoltre mostrato in metropolitana all’amico che ancora non l’aveva visto (livello 6) etc.
Dunque un iper-contesto liquido, veloce e frammentato. Come quello attuale, fatto di circostanze che cambiano in modo vertiginoso e composto da una messe di lettori (fruitori del messaggio) che danno dello scambio di messaggi una lettura diversa a seconda del proprio contesto sociale, politico, culturale e geografico.
Una sorta di complessa sovrastruttura che costringe a una revisione costante del posizionamento valoriale degli enti della comunicazione. E la complessità cresce ulteriormente se, appunto, posizioniamo tali lettori (ognuno diverso, si badi bene) all’interno del flusso comunicativo.
Chi osserva da fuori tale flusso, quindi, si troverà a fare i conti con emittente, messaggio, mezzo e destinatario (primo contesto) a cui vanno aggiunti, in posizione “laterale”, i lettori (secondo contesto). Tale osservatore si troverà dunque a valutare non solo il messaggio che passa da A e B ma come tale messaggio cambi il valore degli stessi emittenti a seconda del lettore e del suo contesto.
Da qui l’importanza del contesto, sia interno al flusso narrativo sia esterno, cioè quello che appartiene al lettore.
Secondo la Treccani “Il contesto può essere definito in generale come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo”. L’insieme delle circostanze, dunque, non riguarda solo l’atto comunicato in sé (emissario, messaggio, mezzo, destinatario) ma anche, allargando lo sguardo, il posizionamento dell’atto stesso all’interno di una lettura altra, esterna, da testimone. Come siamo tutti noi, oggi, partecipi di una comunicazione “alla seconda” se non addirittura “alla terza”, dove ogni scambio di idee, discorsi e opinioni, è riportato, raccontato, mostrato a ogni diverso lettore che ha accesso alla rete. Ognuno inserito in un proprio contesto. Ognuno che offre del fenomeno la propria impressione, aumentando le voci e allargando sempre di più, quasi a stella, l’asse semiotico della comunicazione.
Ma partiamo con gli esempi, così ci capiamo meglio.
Passare da positivo a negativo, ma non con la magia di Harry Potter
Cominciamo con la nota scrittrice J. K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, di un libro di minor fortuna (The Casual Vacancy) e di una serie di gialli, sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith, che hanno avuto anche gli onori di una serie tv (Strike, per la BBC).
L’autrice, fin dalla sua ascesa alla notorietà, è stata simbolo di resilienza e di quello che, sebbene lei sia inglese, oltreoceano è chiamato l’American dream, la cosiddetta “ricerca della felicità”. Da ragazza madre disoccupata e sull’orlo di una crisi di nervi ad autrice multimilionaria e regina delle fantasie di milioni di persone, di ogni genere ed età. Un personaggio ricordato fra le grandi donne di tutti i tempi anche nel celebre libro illustrato “Storie della buonanotte per bambine ribelli”.
Quindi una figura che veniva posizionata, dalla generalità delle persone, fra i segni positivi, euforici, della nostra contemporaneità.
Poi, come il più classico fulmine a ciel sereno, la scrittrice se ne esce su X con una frase tanto lapalissiana quanto scomoda, di questi tempi: “’Le persone che hanno le mestruazioni’. Sono sicura che ci fosse una parola per quelle persone. Qualcuno mi aiuti. Wumben? Wimpund? Woomud?“.
Il tweet era in risposta al titolo di un articolo sulla parità sanitaria nel Regno Unito, che recitava “Creare un mondo post-Covid-19 più equo per le persone che hanno le mestruazioni”.
La Rowling, nota sostenitrice del femminismo e della parità dei sessi (leggi qui), dopo questa uscita pubblica su X vede spostare il proprio “senso” da positivo a negativo, perché apparentemente se la prende con i trans.
Ora, tralasciando la questione nel merito (è contro i trans o contro un linguaggio che non sa più che direzione prendere per non offendere nessuno?), è interessante notare come il contesto sociale e la velocità spazio temporale delle notizie, spingano a un cambio così repentino nella valutazione di un determinato “fenomeno”. Una velocità che, fra l’altro, non permette una lettura ragionevole della cosa: la frase esternata dalla scrittrice le si appiccica come un’etichetta sociale spostandola sull’asse dei valori. Per sempre. Cioè: per quel determinato contesto di lettori la Rowling ora è una persona non gradita.
Da positivo a negativo in un tweet, si potrebbe sintetizzare. Un colpo di bacchetta dai risultati decisamente inaspettati, quantomeno per lo slittamento di senso che ne è risultato: da paladina dei diritti femministi e di sinistra a nemica giurata del movimento woke.
Lililana Segre, vista da sinistra e da destra
La seconda storia ci racconta di un’anziana signora di origini ebraiche che è stata protagonista dei rastrellamenti e della vita nei campi di concentramento nazisti. La signora in questione è la senatrice Liliana Segre, presa ad esempio come modello di antifascismo, antinazismo e valori di libertà e democrazia.
Tanto da diventare una bandiera dei partiti di sinistra.
Liliana Segre, con l’inasprirsi del conflitto in Palestina (il fatidico 7 ottobre 2023), si è trovata a fare i conti con la propria appartenenza e ha affermato che “accusare Israele di genocidio è assurdo” (leggi qui).
Ora, anche qui occorre fare un passo indietro rispetto al fatto: che sia o meno un genocidio, quello che sta succedendo nei Territori, potrebbe essere spunto di discussione, tenendo comunque conto che non dovrebbe essere solo una questione di numeri di vittime. Così, anche la frase di Segre, entro un determinato contesto, diventa motivo di slittamento nei valori: la signora diventa figura negativa, il suo essere ebrea e sionista ne fa un personaggio da “sfregiare” sui cartelli pro palestinesi.
La signora girava scortata anche prima, perché alcuni soggetti neonazisti eneofascisti, la vedevano come sabbia negli occhi. Continuerà a farlo, ma è curioso come ora la sinistra oltranzista la guardi con sospetto, anche se dubito che la destra la trasformi in una propria paladina.
Però, a seconda del contesto politico in cui il nostro lettore si posiziona idealmente, ecco che la Senatrice si trova ora etichettata in un determinato modo. Un ultra-segno, una sorta di maschera, che quasi copre il resto dei valori che le appartenevano e che la rendevano ideale rispetto a una determinata collocazione sociale e politica.
Il naufragio dei Vip e quello dei disperati
Ancora più interessante, per capire come il contesto riesca a provocare uno slittamento nel senso, nel suo valore, è la vicenda che riguarda l’incidente in barca avvenuto all’alba del 19 agosto 2024 al largo di Porticello (Palermo) a causa di una violenta tromba marina.
Per ragionarci su occorre aumentare un po’ la complessità dei fattori in campo, aggiungendo un altro fatto. Il 5 settembre 2024 si ribalta un barcone al largo di Lampedusa. I dispersi sono 21, di cui 3 bambini.
Una barca, dei naviganti, un incidente marittimo, morti, dispersi, la Sicilia. La narrazione dell’uno (quello dello yacht Bayesian e dei suoi occupanti vip) coinvolge tutte le testate giornalistiche e una moltitudine di esperti, tanto che in rete sorgono come funghi, a dar spessore al famoso “popolo di navigatori, santi e allenatori di calcio”. Se ne parla per giorni, tutti vengono informati minuto per minuto di quanto accade ed è accaduto. Una fatalità che entra nei cuori del “popolo della rete”. Su Facebook una ricerca con “affondamento 19 agosto 2024” offre un profluvio di risultati sul naufragio del Bayesian. E i commenti si moltiplicano, dando seguito a complotti, ipotesi, teorie, competenze inattese e lacrime per l’avvenuta disgrazia.
La narrazione dell’altro (il barcone di tunisini, senza nome l’uno e gli altri) è l’ennesima disgrazia, che passa quasi in cavalleria e, addirittura, l’Ansa la racconta quasi fosse un’impresa della guardia costiera (leggi qui).
Se su Facebook si fa una rapida ricerca con queste parole “affondamento 5 settembre 2024” escono un paio di post sulla “Corazzata Roma”. Vicenda del 1921. Fine.
Dunque. Due fatti, dal punto di vista semiotico, (quasi) identici portano a una lettura e a una fruizione decisamente diverse.
Cosa cambia, dunque, nella percezione del pubblico, tanto da far sparire l’uno (disforico) e far diventare virale l’altro (euforico)?
Il fattore discriminante è il contesto sociale dei protagonisti: ricchi, noti e potenti gli uni; disperati, in fuga e quasi banali gli altri.
Il primo fatto offriva un po’ di visibilità a chi partecipava al dibattito, il secondo giusto il solito sfogo rabbioso.
Tutta questione di contesto, appunto.
Alessandro Boriani