La piaga dell’abusivismo riguarda tante categorie: i parrucchieri, gli estetisti, i fotografi, l’edilizia e persino la ristorazione. Tutte categorie che sono chiamate a sostenere costi di gestione e di personale in regola molto alti, sono sottoposti a una pressione fiscale e burocratica che è sempre più alta (in provincia di Bologna, ad esempio, è al 70% sul fatturato di una piccola impresa).
Chi ha un’attività di somministrazione di alimenti o utilizza sostanze che vanno a contatto con la pelle delle persone deve provvedere a determinati obblighi e alla tenuta di registri per controllare al provenienza e la salubrità delle materie prime, a tutela della salute del consumatore. La nostra salute!
Chi non rispetta queste regole fa concorrenza sleale e sottrae risorse alla comunità, il che può contribuire anche ai tagli nei servizi. Come dimostrano i dati sul lavoro sommerso 2014, pubblicati a ottobre 2016 le attività illegali valgono il 13% del Pil.
Certo, in questo dato c’è un po’ tutto. Ci sono i delinquenti che sfruttano le persone con il lavoro nero, ci sono i mafiosi, ci sono quelli che cercano la via dell’illegalità per resistere alle vessazioni fiscali di questo Stato sanguisuga, come i piccoli commercianti e i piccoli artigiani. E infine, ci sono quelli che arrotondano, lavorando o facendo servizi a pagamento il sabato e la domenica, senza alcuna posizione di attività aperta.
Ciascuno di noi è libero di classificare questi casi secondo i propri valori e la propria indulgenza. Io mi limito ad osservare che se la pressione fiscale fosse bassa, uguale per tutti, (ad esempio un 30%) questo fenomeno del lavoro “non osservato” sarebbe sicuramente molto ridotto.
E poi ci sono gli abusivi della comunicazione
In molti credono che la comunicazione non sia un vero lavoro e non esitano a rivolgersi a degli abusivi, cioè a persone che si dedicano al loro hobby o che svolgono un secondo lavoro, ovviamente in nero.
Comunicare in modo efficace e professionale per conto di un’azienda o un personaggio pubblico richiede invece formazione, aggiornamenti professionali, conoscenza delle leggi, molto tempo, costanza, affidabilità, esperienza, possibilità di sperimentare, relazioni, conoscenza dei supporti e dei media, oltre a un budget adeguato.
Ma chi sono gli abusivi della comunicazione?
Ecco qualche esempio: il cugino che ti sa fare un sito, lasciandoti poi a piedi quando si stufa o se ne va all’estero. Oppure il nipote che ha comprato l’ultima Canon o l’ultima Nikon, il classico “scattino” chiamato a fotografare in qualsiasi situazione: evento, matrimonio, prodotti, bottega… Ti scarica 2000 file, di cui la metà o sono inutili o sono uguali fra loro a meno di qualche dettaglio, e ti arrangi da solo a capire quale scatto è meglio, senza contare il pianto greco del grafico che dovrà utilizzarle per un album, un catalogo o altro.
Qualcuno ha lo zio che fa i filmini, poi succede che ci mette due mesi a montarli, con risultati da brividi. Altri chiedono all’amico bravo in italiano un testo adatto ad essere indicizzato da Google. Poi c’è il cognato che non ha mai capito la grammatica (e l’utilizzo delle h) a cui possiamo chiedere di fare del social media marketing e, infine, c’è l’amico che ha crackato un software di grafica che ci fa un depliant illeggibile dalle macchine di stampa o che sembra arrivare diritto dagli anni Settanta… e così via, gli abusivi della comunicazione sono davvero tanti.
Un primo passo importante sarebbe non sostenere l’abusivismo, compiendo delle scelte consapevoli.
Ciascuno di noi deve mettere la mano sul cuore. A parole siamo spesso indignati ma poi, quando si apre il portafogli, siamo i primi a mettere da parte i nostri valori. Negoziare un prezzo è sempre buona cosa, ma accondiscendere a uno sconto ottenuto aggirando le regole non è una cosa di cui andare fieri.
Così fan tutti?
Sarà, ma non quando non riconosciamo il giusto prezzo a fronte di professionalità, continui aggiornamenti professionali, investimenti e oneri fissati dalla legge diventiamo responsabili di un sistema criminale che sottrae risorse alla comunità e, in alcuni casi, alimenta il malaffare.
L’abusivismo è un reato di cui spesso siamo tutti complici
L’abusivismo è un reato e chi paga (in nero) gli abusivi è un complice. Esattamente come quando, pur rivolgendoci a un professionista, accettiamo di pagare in nero per risparmiare sull’Iva della fattura.
E’ importante esserne consapevoli.
Tutti questi lavoratori abusivi possono praticare prezzi bassi o perfino lavorare per la gloria tanto loro, a differenza dei professionisti, lo fanno nel tempo libero. Essi non pagano strutture, collaboratori, formazione, non fanno fattura, non versano contributi, non devono assolvere a costosi adempimenti burocratici, studi di settore. Non devono curarsi di Irap, gestioni separate, antincendio, pronto soccorso, assicurazioni, costosi sistemi di sicurezza e backup… E sono tanto simpatici.
Occorre un’azione culturale capillare, territorio per territorio, per dimostrare alle persone i rischi che corrono a rivolgersi agli abusivi e, allo stesso tempo, mostrare loro la differenza fra un servizio svolto da un professionista serio e un hobbista che lavora in nero.
Non dovrebbe essere difficile: avete mai provato a farvi estrarre un dente da un amico contabile appassionato di anatomia? O a farvi prescrivere la dieta da una cugina commercialista “che le ha provate tutte”?