La possibilità, data a tutti, di poter scrivere ciò che si pensa è una gran bella cosa. Viviamo, effettivamente, in un periodo di grande libertà di espressione. Non importa se questo richieda un certo senso di responsabilità personale: toni, modi, argomenti e preparazione di chi scrive di una determinata cosa non sono poi così importanti. Anzi, lo sono solo in relazione al fatto che questa persona possa esprimere la propria opinione su qualsiasi tema. Si parla di chirurgia? Anche uno con la terza elementare può dire la sua. Si parla di cantieri e muratura? Anche l’avvocato deve potersi esprimere. Si parla di politica? Non ne parliamo neanche: anche il gatto ha un’opinione a riguardo e creerà un account social per poterla dare in pasto ai suoi amici e seguaci.
Se volessimo fare una classifica, in ordine di importanza, dei valori su cui uno deve basare il proprio parere “preparazione” ed “esperienza” sarebbero piuttosto in basso. Sicuramente sotto a “quella volta a me…”* e “mio cugino mi ha detto…”.
Questo cosa porta con sé? Porta che il web 2.0 ha creato un paradosso secondo il quale “Tutti sono esperti di tutto e, quindi, nessuno è più esperto di nulla”. Cioè: siccome tutti hanno diritto di esprimere la propria opinione su un determinato argomento, o fatto del giorno, succede che la voce di chiunque sia un minimo più preparato dell’indistinta massa di “umarell” davanti al cantiere, venga coperta dal brusio e non sia più udibile. Tutti esperti, nessuno esperto. Anzi: siccome di quell’argomento (di ogni argomento possibile, lo scibile umano è vastissimo: si può parlare di miniature da colorare e di motori al plasma) il numero dei presunti addetti ai lavori è enorme, chi lo è davvero entra a far parte di una percentuale talmente esigua da risultare fuori statistica se non, addirittura, additato come ignorante proprio perché la massa va in un’altra direzione.
La Verità, insomma, scompare di fronte alle verità. Una bella crisi per il sistema delle fonti a cui il mondo contemporaneo si sta abituando. Ed è chiaro che, in un futuro prossimo venturo, tutto questo provocherà non pochi mal di testa a chi vorrà venirci a capo.
Alessandro Boriani
* “Quella volta a me…” non si può considerare sotto la categoria “esperienza” a meno che non si parli di aneddotica: “Quella volta in cui sono finito nel fosso con la moto” non risolve la questione “Non si guida tenendo il cellulare perché si rischia di finire nel fosso con la macchina”. Men che meno “Quella volta che mi hanno tolto le tonsille a 40 anni” (è successo davvero, ahimè) non mi dà il permesso di entrare in un gruppo di chirurgia otorinolaringoiatrica a dire la mia sull’uso o meno di un certo bisturi.