Qualche tempo fa riguardavo “Tutti gli uomini del presidente” e, mentre il film procedeva, mi è venuto in mente che mi ricordavo solo vagamente quale fosse il contesto storico e quale fosse la questione attorno a cui ruotava tutta la vicenda. Mi ricordavo com’era andata a finire, quello si, ma non il contorno. Così ho pensato che avrei potuto saperne di più, subito, guardando in rete, magari su wikipedia o su uno dei molti siti, in ogni lingua disponibile, in cui si parla dell’argomento.
A questo punto la questione potrebbe fermarsi qui, potrei perdermi in un peana sulla grandezza informativa offerta da internet. In effetti la comodità è clamorosa: finisco un film, ho un dubbio, cerco in rete, mi informo. Se sono rapido nelle ricerche, in un’oretta me la cavo e sono soddisfatto. Prima di internet, diciamo anche fino a metà abbondante dei ’90, avrei dovuto prendermi la briga di andare in biblioteca, fare una ricerca bibliografica, prendere libri, leggermeli tutti, sintetizzare tutte le informazioni, essere soddisfatto.
Raccontata così emerge che:
• Prima avevo: ampia scelta (a seconda del luogo in cui vivevo), molto tempo da dedicare alla ricerca, sintesi a mio carico. Se l’argomento mi interessava molto, avrei dovuto girare per librerie e biblioteche, parlare con esperti, interrogarmi sulle varie ragioni, creare una sintesi ancor più profonda e ampia.
• Ora ho: un’immediata ampia scelta di informazioni (che non dipende più dal luogo ma dal tempo che decido di dedicare alla ricerca), minor tempo per raggiungerle, una sintesi effettuata da altri, spesso da Google che mi piazza in testa quella decina di siti che decide lui per me. Se l’argomento mi interessa il giusto mi accontento di quanto leggo sul primo sito indicato, se ho più curiosità o voglio levarmi proprio tutti i dubbi devo cercare altrove rispetto ai consigli di Google e, magari, tornare nel mondo reale per verificare sui libri quanto detto in rete.
In entrambi i casi ho sotto mano una vasta rete di informazioni, più o meno ampia a seconda della mia disponibilità di spazio e tempo e del mio reale interesse per l’argomento, non avevo/ho confini verso il mondo perché di fatto potevo/posso accedere a ogni fonte esistente, telefonare ai diretti interessati, mandare una e-mail al direttore di un ente negli Stati Uniti o al gestore di un bar a Manila. Parafrasando un noto proverbio “The sky was/is the limit”.
Poi è arrivato il web 2.0. Tutto rapidissimo, tutti hanno accesso alle notizie, tutti sono diventati una “fonte” dell’informazione. Di fatto non ci sono più filtri nello scambio comunicativo e nessuno verifica più nulla. Questo sistema, inoltre, aggiunge al caos una riduzione sostanziale dello spazio di manovra dell’utente.
Pensate all’uso che si fa di Facebook e come lo stesso social stia provando a orientare l’uso di sé: l’utente Pincopalla ha una cerchia di amici da cui riceve notifiche in costante aggiornamento, l’utente Pincopalla considera quello il suo raggio d’azione. È su Facebook che ci si informa, è Facebook che ci nutre di notizie, è da Facebook che conosciamo le cose. Pincopalla ha un dubbio: lo chiede ai suoi amici; Pincopalla vede che un amico pubblica un post su un argomento: lo commenta e dai commenti si crea una sua propria sintesi. Una sintesi, però, che rispetto a quelle di cui sopra, ha un orizzonte limitato al proprio gruppo, non esce verso il mondo e non porta il mondo verso di sé: di fatto tramuta il mondo secondo una visione di circolo, è il “giro di amicizie” che forgia l’immagine del mondo. L’universo 2.0 è conchiuso alle proprie cerchie. Non per niente il concorrente Google Plus chiama così i gruppi concentrici d’azione degli utenti.
Questo sistema illude di allargare lo sguardo in rete. Invece lo racchiude in una specie di bolla che non invita a uscire, per verificare quanto letto e appreso. Questo non riguarda solo le cosiddette “bufale”, che si risolvono da sole nel breve arco di qualche ora. Questo riguarda qualsiasi informazione: prima del 2.0 si interrogava il mondo (o una rete ampia quanto), ora si interroga la cerchia, non con la semplice speranza di ricevere qualcosa in cambio della domanda ma con la convinzione che da qualche parte arriverà la risposta giusta. Anche se è sbagliata o insufficiente. E quello che arriva diventa vero tanti più like riceve, nel breve giro di giostra che fanno i post. E ci si accontenta, perché subito dopo siamo pronti per una nuova campagna, una nuova ricerca o una nuova questione nata nel proprio cortile virtuale.
Alessandro Boriani